top of page

 

Per spiegarvi com’è nata l’Associazione Aurlindin dovremo parlarvi del nostro lungo cammino alla ricerca dell’equilibrio tra il corpo, la mente e lo spirito, ma cercheremo di racchiudere tutto in una unica frase:

 

 

“Un’idea nasce come un piccolo seme che germogliando,

nutrito dalla consapevolezza e dall’intuizione,

diventa intenzione ed azione pura”.

  

 L’Associazione è strutturata nelle seguenti Aree di Intervento:

 

  • Cultura della morte per una preparazione consapevole;

  • Sostegno alle famiglie di natura sociale, spirituale e morale che devono affrontare in breve, medio o lungo periodo un decesso di un loro caro;

  • Assistenza ai malati terminali collaborando con le strutture, già avviate sul territorio, che positivamente e professionalmente svolgono questa opera;

  • Accompagnamento alla morte: sostegno alle persone che  stanno per morire per affrontare il trapasso in modo consapevole, affinché tutte le possano avere una parola di conforto e di sostegno nell’ultimo periodo della loro vita;

  • Elaborazione del lutto per tutti coloro che con difficoltà si apprestano a continuare la propria vita dopo la scomparsa del proprio caro.

  • Rendendo consapevoli e mobilitando i cittadini e le forze della società verso il benessere dell’uomo;

  • Analizzando e studiando i fenomeni collegati alla morte, le loro cause e i loro effetti, per elaborare risoluzioni che ne possano eliminare la paura e l’ignoranza;

  • Sensibilizzando l’opinione pubblica sul tema del trapasso, per mezzo di incontri, di riflessioni, di conferenze e dibattiti pubblici e sollecitando le giovani generazioni ad una maggiore apertura consapevole nei confronti anche della malattia terminale e il relativo concreto aiuto che si può dare a coloro i quali necessitano di una guida o di un sostegno negli ultimi momenti della propria vita.

 

 

Chi desidera divenire operatore volontario Aurlindin deve aver  sentito “la  chiamata interiore” perché solo quando si sente la chiamata si è certi che si desidera realmente iniziare un  percorso interiore.

 

Il volontario Aurlindin deve prima di tutto aver lavorato su se stesso e aver trasformato i suoi limiti in punti di forza, le sue  ombre in punti di luce. Solo dopo essere passato da se stesso potrà attraversare le proprie esperienze ed andare incontro all’altro.

È necessario questo tipo di percorso perché a volte andiamo a porgere la mano ad un uomo che  ha bisogno  di  passare  attraverso di noi per  trovare  la  via  del  trapasso  e noi a volte potremmo  essere  la  porta  che sta cercando, la  mano  amica  da  stringere, lo  sguardo  nel quale perdersi per ritrovarsi nell’aldilà.

Significa aver lavorato e avere compreso la morte come evento  fisico e il trapasso come via spirituale. 

Tutti coloro che sono interessati a divenire Operatori Volontari Aurlindin, e a svolgere il  servizio vero e proprio in strutture  ospedaliere e/o domiciliari, possono richiedere un incontro  conoscitivo con uno dei nostri operatori in sede per avere tutte le  informazioni.

 

La nostra formazione ci porta ad assistere amorevolmente sia il malato sia la famiglia, non solo nell’aspetto di accompagnamento, ma anche nella fase del sostegno e nella fase dell’elaborazione del lutto stesso.

 

Gli hospice sono strutture e reparti dedicati ai malati terminali che necessitano di cure che non possono essere effettuate a domicilio, o la cui assistenza domiciliare risulta troppo gravosa per la famiglia, o per quei pazienti che vivono in condizioni abitative inadeguate e con scarsa assistenza famigliare.

 

Il ricovero in queste strutture può essere temporaneo, per fasi di crisi superabili, o definitivo.

 

I pazienti qui fruiscono di assistenza sanitaria e psicologica e di cure mediche ed infermieristiche continue che hanno l’obiettivo di alleviare le sofferenze e migliorare la loro qualità di vita.

 

Oltre al personale medico ed infermieristico intervengono anche delle figure importanti tra i quali gli assistenti spirituali e i volontari ed è qui che si colloca la nostra presenza.

 

Una presenza dove portando i valori cristiani condividiamo nello spirito gli insegnamenti di Gesù, nel pieno rispetto di ogni culto e credo.

 

Puntare alla qualità della vita di un malato terminale non è facile perché ci troviamo di fronte ad una situazione ineluttabile.

 

Qui, in questo luogo, in questo tempo, tutto assume un significato differente e la persona si trova a dover affrontare continue domande interiori sul senso della vita e su quanto sta per accadere.

 

Puntiamo a riconquistare e ridare al malato la sua dignità preservando anche la capacità residua di vita relazionale e l’interesse per il mondo esterno.

 

Per noi il paziente è un essere umano morale capace di assumere su di sé il senso del suo limite e di partecipare alle decisioni che lo riguardano.

 

Serve quindi sostenere la verità del suo percorso con forze e con profonda compassione. Ogni giorno, ogni paziente ci porta e ci fa vivere delle esperienze irripetibili che accompagnano anche noi ad una trasformazione della qualità della vita.

 

Si percorre insieme un tratto di strada, prendendoci per mano, portando e facendoci portare in un ascolto profondo, a volte di parole a volte di emozioni.

 

Tra loro abbiamo conosciuto la sacralità del silenzio e la presenza inequivocabile di Dio, e il prenderci cura dei malati e dello loro famiglie rappresenta il momento più alto del donarci; ci permette di comprendere e di sostenere il senso della consapevolezze umile, perché accompagnare significa essere in grado di accogliere a volte quel grido di silenzio che fa così male, perché è figlio dell’impotenza.

 

La morte, come la vita, porta a volte la solitudine: il suo silenzio è spesso intriso di profondità, ma può portare anche sensazioni di vuoto che devono essere supportate.

 

Ci siamo accorti che il tempo passato con loro non si riduceva alla nostra presenza fisica, non sarebbe bastato, perché il tempo vissuto da queste persone si distingue dal tempo obiettivo, in quanto legato all’esperienza e allo stato d’animo che stanno vivendo.

 

Quindi, come diceva Sant’Agostino, quel tempo lo abbiamo trasformato in presenza, una presenza che continua oltre i momenti in cui noi siamo fisicamente lì, perché portiamo il nostro esserci, e questo fa sentire il malato accettato e compreso, e i momenti condivisi vengono vissuti più volte nel ricordo, nelle sensazioni, nelle condivisioni.

 

Ogni volta si ricreano parte di quegli attimi come se si fosse ancora presenti. E’ evidente perciò come sia più importante la qualità della disponibilità emotiva e spirituale offerta all’assistito che non la quantità di ore trascorse con lui.

 

Solo se c’è un rapporto basato su un vero interesse reciproco si può vivere oltre il tempo nell’esperienza dell’altro. Qualità di vita significa scegliere, non accettare passivamente la vita ma comprenderla sempre più profondamente in se stessi.

 

In questo modo possiamo aiutare il malato e la sua famiglia anche a rivivere il proprio passato per favorire una maggiore accettazione verso se stessi e verso gli altri.

 

Molte volte ci siamo trovati testimoni di riappacificazioni, chiarimenti, comprensioni che rendono libero, autentico e più leggero il momento del trapasso.

 

E’ in quei momenti che si comprende che i bisogni del malato non sono uguali ai propri e devono essere profondamente rispettati. A volte il nostro desiderio non è il desiderio del malato, e questo deve essere “mostrato” alla famiglia.

 

Ci sono poi momenti di crisi acuta, dove la presa di coscienza della morte diventa insostenibile: cosa fare? Quali parole portare? In quei momenti non possiamo portare troppe parole, ma dobbiamo garantire che qualunque cosa attenda, il malato, verrà affrontata e non sarà lasciato solo.

 

In questi profondi ascolti il linguaggio simbolico permette di esprimere i propri sentimenti in forma diretta.

E’ importante ricordare che questa modalità espressiva non è scelta cosciente della persona ma avviene inconsciamente e serve seguirla.

 

Se alle domande collegate alla sofferenza, al dolore e alla morte, si pensa di poter dare una risposta semplicemente umana si aprirà un baratro perché tutto diverrebbe senza peso e non accettabile.

 

Ma se a tutto questo lascio che sia Dio a rispondere, allora sì che tutto si riempirà di senso.

Quante volte portando semplicemente la nostra fede e le parole del Vangelo ci siamo resi conto che molti malati che pensavano di non credere più a nulla hanno ritrovato nella fede la loro forza più grande.

 

La malattia terminale sovverte il ritmo abituale di vita, cambiando i ruoli e determinando l’assunzione di nuove responsabilità.

 

L’adattamento ai nuovi ruoli è molto più difficile per il malato: persone che avevano una vita attiva ed autonoma si trovano a dover dipendere completamente dagli altri. Per il famigliare la malattia minaccia, non solo la possibilità del futuro, ma anche la ricchezza del passato.

 

Si pensa che il passato sia riflesso nell’altro, nella persona con cui lo si è condiviso, e non essendoci più quella persona ci sembra di perdere il passato stesso, ma nulla deve andare perduto, tutto deve arricchirsi di valore.

 

La presenza del volontario deve saper sostenere anche questo.

 

La prospettiva della morte evoca dubbi angosciosi sul futuro. Ognuno ha nella propria vita un’immagine di come sarà l’esistenza dopo la morte, e l’immagine della propria morte è strettamente connessa all’immagine di se stessi, della propria vita e della natura di tale vita.

 

La visione attuale è di assenza di futuro, assenza di speranza, perciò la prognosi infausta porta disperazione e vuoto.

 

Invece è vero il contrario: “là dove c’è speranza c’è futuro” e la speranza diventa credere, e il credere significa affidarsi a Dio.

 

La persona mantiene così il senso del proprio valore, e stando accanto a lei in amorevole sostegno e presenza possiamo aiutarla a comprendere che la fede riesce a collegarla al futuro e a farle scoprire il senso della morte.

 

Trasmutare appunto la fine in fine Qualità della vita è dare il senso alla propria vita, in ogni fase.

.

.

bottom of page